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Negli ultimi anni la ricerca medica ha avuto innumerevoli conferme sul fatto che il grasso corporeo non è un semplice fardello che appesantisce le nostre giornate, ma rappresenta un vero e proprio fattore di rischio cardiovascolare; in altre parole accresce le probabilità che un soggetto possa sviluppare patologie cardiache (angina, infarto) o vascolari (ipertensione arteriosa) o patologie metaboliche (diabete, aumento del colesterolo, dell’acido urico, dei trigliceridi), in grado, e questo è il dato più preoccupante, di ridurre significativamente la qualità e la spettanza di vita, cioè il numero di anni che restano da vivere.

Ormai si è compreso che non tutti i tipi di grasso sono uguali, il grasso viscerale (o meglio l’adiposità intra-addominale), infatti, ha caratteristiche diverse da quello sottocutaneo ed esercita una serie di effetti negativi sul metabolismo, con un incremento dei rischi per l’apparato cardiovascolare.

Di questo e altri studi si è parlato al convegno “ Obesità addominale: un fattore di rischio cardiovascolare?”, organizzato dalla Società Italiana dell’Obesità a Milano. Quando si parla di adiposità intra-addominale non si intende il grasso superficiale sottocutaneo, che in quella sede si può sempre depositare ed è facilmente sollevabile in pliche di piccolo o grande spessore, ma si intende quello localizzato in sede profonda, viscerale, a costituire il tipico addome globoso e teso, che spesso è in grado di compromettere la stessa funzione respiratoria.

Sono stati così coniati vari neologismi per indicare le due diverse distribuzioni del grasso corporeo: quello femminile è stato chiamato anche ginoide, o gluteo femorale, o sottocutaneo, o “a pera”; quello maschile: androide, o addominale, o viscerale, o “a mela”.

Ma anche la donna può sviluppare la formazione di grasso in sede addominale, dopo la menopausa, intorno ai 50 anni; in tal caso il rischio cardiovascolare è uguale a quello del maschio. Per sapere quindi se il grasso che si “indossa” è pericoloso per la nostra salute, occorre vedere dove è localizzato, e nessuno strumento si è rivelato più sensibile del classico centimetro da sartoria. È stato dimostrato che la misura della circonferenza addominale è una spia fedelissima della quantità del grasso addominale, e sono state individuate le misure oltre le quali, a prescindere dall’essere obesi o no, si entra nell’area di rischio, che sono: 88 cm nel sesso femminile e 102 cm in quello maschile. Certamente una condizione di sovrappeso o, peggio, di obesità, cioè un aumento generalizzato del grasso corporeo, moltiplica questo rischio.

Fattori di rischio

Ma quali sono i fattori che favoriscono l’accumulo di grasso in sede addominale? Vi sono fattori che non si possono modificare, come il sesso, l’età, la familiarità. L’uomo, e la donna dopo la menopausa, sono esposti a questo rischio, e qualora per qualche motivo dovessero ingrassare, il tessuto adiposo neoformato si localizzerebbe in quella sede: nell’uomo, per l’azione di alcuni ormoni, fra cui il Cortisolo e il Testosterone, nella donna in menopausa, per la assenza di altri ormoni, estrogeni e progesterone.

Con gli anni è più facile ingrassare e quindi anche l’età favorisce la comparsa della cosiddetta “pancetta”; infine, poiché anche i genitori hanno il loro “peso”, la predisposizione genetica gioca un ruolo molto importante.

Vi sono poi dei fattori modificabili dal soggetto stesso, che sono quelli su cui si dovrà intervenire per prevenire o debellare il problema: la corretta alimentazione, non solo come quantità ma anche come scelta degli alimenti. I cibi grassi (condimenti, formaggi, insaccati, dolciumi, etc.) e quelli a base di carboidrati in grado di innalzare rapidamente la glicemia e quindi i livelli di insulina, sono i principali indiziati (pane, riso, patate, zucchero raffinato, frutta zuccherina, prodotti di bar o di pasticceria, etc.); è dimostrato che maggiore è la quantità di insulina prodotta dall’individuo in risposta all’assunzione di un alimento con le caratteristiche su indicate, maggiore è la quantità di tessuto adiposo che si deposita in sede addominale; la voracità, cioè la velocità con cui una certa quantità di cibo raggiunge il tubo digerente e il piluccamento, cioè l’abitudine di fare continuamente piccoli spuntini, fuori dagli orari dei pasti, sono errori del comportamento alimentare in grado di provocare questa esagerata risposta insulinica.

Alcool e stress

Infine è dimostrato che il consumo di vino o di superalcolici si associa ad un sensibile aumento del grasso addominale, come anche lo stress. Lo stress è una reazione di adattamento dell’organismo a stimoli ambientali, per lo più negativi, che provocano risposte di tipo nevoso ed ormonale; tra queste ultime vi è la produzione di cortisolo da parte della ghiandola surrenale. Questo ormone, che consente all’individuo di far fronte alle emergenze e a tutte le situazioni più impegnative, sia a livello fisico che psichico, svolge numerose funzioni, ma, tra quelle che ci interessano, questo ormone è in grado di stimolare l’appetito, aumentare la glicemia e quindi l’insulina, aumentare il tessuto adiposo nel tronco ed in particolare nella regione addominale, dove, in alcuni casi, può essere all’origine di vistose smagliature rossastre longitudinali dette “striae rubrae”; il risultato è che un individuo che, per qualunque motivo, viva una condizione di stress cronico, avrà elevati livelli circolanti di cortisolo e quindi, una spinta continua ad alimentarsi in eccesso (il pasto serale, quando lo stress concede un po’ di tregua, è quello in cui di solito si esagera) e a neo­formare tessuto adiposo in sede addominale profonda.

Anche la sedentarietà è implicata nell’accumulo di grasso in sede addominale, una regolare attività fisica è in grado di ridurlo sensibilmente.

Dal fronte della lotta alla “pancia” non giungono solo cattive notizie: se, infatti, questo tipo di tessuto adiposo è potenzialmente così pericoloso per la salute, tanto da rappresentare un fattore di rischio come la pressione alta, l’aumento del colesterolo, il diabete, è anche vero che è molto facile eliminarlo, anzi è la prima sede dove si verificano i più evidenti effetti dimagranti, quando si intraprende una dieta ipocalorica e si eliminano o si riescono a controllare le cause che sono alla base della sua formazione e che abbiamo definito come “fattori modificabili”: errori alimentari, stress, scarso esercizio fisico, consumo di alcool. Dunque, mano al centimetro e occhio ai buchi della cinta, se si vogliono verificare nel modo migliore i progressi compiuti settimana dopo settimana.

Anna De Mariani

Lo Studio di terapie complementari della dott.ssa Anna De Mariani biologa indirizzo biomedico specialista in Biochimica Clinica, ha lo scopo di accompagnare la Persona ad uno stato di salute globale basato sia sull’aspetto fisico-metabolico che psichico attraverso le più svariate conoscenze che vanno dalla biochimica alla medicina ortomolecolare, dalla biologia clinica alla medicina naturale alla nutrigenetica ed epigenetica con l’ausilio delle tecnologie biomediche con l’obiettivo di raggiungere uno stato di salute ottimale.